Olga Manente nel 1938 venne inserita in una lista di studenti universitari “attenzionati”. I cognomi degli altri colleghi ricordano la tradizione ebraica (es. Tina Bice Milani, Nives Roma Kerschbumer, Paecht Cristina ecc) e poi si legge Manente: cognome veneto, veneziano.
Chi era dunque Olga Manente?
Nata il 15 ottobre 1917 a Saganèiti (ai tempi colonia italiana), a sud di Asmara, da un italiano e da una donna eritrea di cui non si conosce il nome. Il padre Virginio Manente, nato nel 1881 a Spinea, è maresciallo capo.
Olga nel 1937 si iscrive a Lingue e Letterature Moderne.
All’Università i docenti sono chiamati a costruire la coscienza razziale degli studenti e i docenti vengono cacciati in base ai cosiddetti “criteri razziali”. Così viene cacciato Gino Luzzato e soprattutto la lettrice di lingua tedesca Olga Blumenthal che morirà nel campo di concentramento di Ravensbruck nel 1945.
Tra i commissari di laurea il 13 novembre 1945, terminato il conflitto, Olga troverà Leonardo Ricci e Carlo Alberto Dell’Agnola colonialisti convinti. Lei per la legge era italiana ed ariana, ma agli occhi di queste persone difficilmente era considerata pari agli altri studenti.
Sposata con il dentista Ivanoe Mazza nel 1944; laureata nel 1945; dopo anni di precariato ottiene la cattedra di francese alle medie.
Si tratta di una storia non raccontata, di quelle che non si vogliono raccontare perché toccano temi come il “madamato” e i figli abbandonati.
Il contadino Manente non era istruito, né brillante o sensibile però almeno la figlia non l’ha abbandonata (parentesi a parte per la “moglie”/madre di Olga di cui non si nulla). Pertanto sarebbe lecito chiedere di più alle persone più istruite, privilegiate. Eppure è noto che gli ufficiali fossero quelli più propensi ad abbandonare i figli avuti da donne africane. Figli spesso allontanati da tutti.
Il passato non si può cambiare … però possiamo cambiare il presente.
Di Olga conosciamo la storia grazie al libro “Cercando Olga. Sui passi di Olga Manente, prima studentessa nera all’Università Ca’ Foscari di Venezia” di Francesco Furlan.