Occhi diversi vedono cose diverse

Tutte le volte che si è parlato e ancora si parla di preistoria e di storia é sempre prevalsa la tendenza a vedere nell’Uomo, da intendersi come essere maschile, la fonte di ogni cosa, di ogni lavoro e di ogni progresso. Per gli archeologi, fino agli anni ’60, il contributo femminile era considerato inesistente.

Ogni tomba, ogni sepoltura, ogni oggetto apparteneva necessariamente ad un uomo, magari un guerriero, e questo ha portato ad un totale svilimento della donna e del suo apporto alla cultura e allo sviluppo.

Negli ultimi decenni, queste idee sono progressivamente cambiate e si è smesso di attribuire all’uomo cacciatore il ruolo di soggetto fondante e centrale per l’evoluzione umana e si è progressivamente abbandonata l’idea della donna come soggetto inutile.

Nel libro di successo internazionale “Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia mondiale delle donne”, l’autrice Rosalind Miles si interroga su molti aspetti, tra i quali spicca l’assenza delle donne nei libri di storia. Un’assenza importante non solo perché viene raccontata una storia non corretta, in contrasto quindi con l’importanza e l’esigenza di restituire una fotografia veritiera del passato, ma anche perché si privano le persone di una importante rosa di personaggi e di potenziali fonti di ispirazione quotidiana. (Cfr. p. 12)

L’autrice ci fa riflettere su diversi aspetti e sul “paradosso” secondo cui le donne dell’era preistorica erano più libere che nelle cosiddette società “avanzate”, dove invece predominava il controllo su di loro. (Cfr. p. 16)

Inoltre ci ricorda che “la storia è piena di donne che, in barba a sconfitte e sventure, hanno imbracciato le armi contro un mare di difficoltà e hanno combattuto per la loro stessa vita”. (Cfr. pp. 25 -26). “E quindi, se vogliamo raccontare le cose come stanno, le donne meritano una propria storia, anzi, ben più di una”. (Cfr. p. 29)

Si tratta di rendere giustizia a tutti, e non solo alle persone che sono state volutamente silenziate.

L’ossessione degli antropologi per l’Uomo cacciatore li ha portati a individuare le armi per la caccia come primi utensili della storia, quando in realtà venne prima la raccolta, poi l’estrazione delle radici e solo successivamente la caccia.

Dovremmo cominciare a cambiare paradigma, riflettendo ad esempio sul fatto che uno dei primi oggetti della storia potrebbe essere stata la sacca di una raccoglitrice! (Cfr. p. 38) Ovviamente non abbiamo certezze dato che si tratta di materiali delicati e pertanto deperibili, ma è importante prendere coscienza del fatto che fino a pochi anni fa si attribuiva valore a un fatto o ad un oggetto basandosi unicamente sulla propria vita quotidiana e sulle convinzioni culturali dell’epoca, in modo tutt’altro che scientifico.

Alla luce delle ultime ricerche e scoperte, Rosalind Miles suggerisce che il lavoro più impegnativo fosse quello della donna, che si occupava dei figli e procacciava il cibo. Pertanto è più corretto supporre che alla base della nascita del linguaggio e della capacità di comunicare sia stata la famiglia – in cui la donna svolgeva il ruolo centrale – e non la caccia. Organizzarsi, collaborare, curare ed istruire i figli ha favorito non solo l’evoluzione dell’uomo ma anche un aumento del quoziente di intelligenza (cfr. p. 41).

È impossibile stabilire quali attività abbiano dato un contributo maggiore allo sviluppo dell’uomo, ma oggi pare più logico affermare che sia stata la famiglia – e quindi le attività svolte dalle donne – a determinarne un maggiore sviluppo. Dobbiamo quindi prendere atto che “Intere generazioni di studiosi uomini si sono rifiutati di riconoscere i fatti e il ruolo determinante svolto dalla donna preistorica per l’evoluzione della specie, preferendo invece riproporre la donna primitiva come semplice veicolo sessuale per l’uomo! (Cfr. p. 47)

Ecco quindi che ci troviamo di fronte ad una nuova prospettiva, ovvero quella secondo cui la nascita dell’umanità è legata più all’attività del prendersi cura degli altri che a quella del cacciare. (Cfr. p. 54).

Inoltre, non dimentichiamoci che nelle società preistoriche le donne svolgevano spesso il ruolo di consigliere, indovino, leader, narratrice, medico, mago o anche legislatore. E non va nemmeno trascurato il potere legato alla fertilità.  (Cfr. p. 56)

Vi sono anche dei miti a offrire una visione ben diversa dal tradizionale concetto di donna del passato.

Ad esempio il mito di Inanna, la grande madre, che era una dea né sposata né casta (Cfr. p. 70), spesso descritta come donna matura e con molti amanti giovani (Cfr. p. 72). Non è sposata, è matura, ha amanti giovani … un mix tutt’altro che accettabile secondo i moderni canoni di giudizio e non stupisce che sia stata sepolta e volutamente dimenticata.

Se poi consideriamo i canti erotici egizi del XIII secolo a. C. scopriamo che ben sedici su venti componimenti erano opera di donna. (Cfr. p. 86) A partire da questa informazione, la studiosa riflette sul fatto che nelle società in cui le donne avevano più potere era anche solito per loro amoreggiare, scrivere canti o avere amanti. Idee abbastanza distanti dall’attuale immaginario culturale.

O ancora, di Iside si dice aver affermato “Io sono Iside, padrona di tutte le terre. Ho stabilito leggi per tutti (…)” (cfr. p. 90)

Quindi esistevano anche dei passati in cui le donne non erano sottomesse e relegate in casa, ma poiché questo potere era poco gradito, fu gradualmente eroso e successivamente nascosto e dimenticato.

Anche la fertilità femminile passò dall’occupare una posizione centrale ad una marginale. Ci fu un cambio di paradigma che portò a porre al centro l’uomo persino in questo aspetto (cfr. pp. 96-126)

E infine, anche all’interno dei diversi credi religiosi si registrò un progressivo peggioramento della considerazione della donna, che venne definita stupida, dal cervello piccolo e da relegare in casa o da cacciare come successe con la caccia alle streghe.

A questo proposito va sottolineato come la caccia alle streghe avvenne – e parrebbe non casualmente – per contrastare le donne in un periodo relativamente felice per loro, ovvero quello del Medioevo durante il quale non era infrequente imbattersi in donne potenti e importanti. Cfr. p. 223

Anche parlando di economia scopriamo che le donne africane, prima della colonizzazione, svolgevano dei ruoli importanti, come succedeva in Nigeria, Congo e Camerun, dove erano le donne a gestire gli scambi commerciali e i mercati. Successivamente però hanno perso la leadership. (Cfr. p. 265)

Le riflessioni del libro ci aiutano a non dare tutto per scontato, a pensare che l’archeologo, lo storico o lo scienziato sono persone che vedono e presentano le informazioni interpretandole dalla loro prospettiva, mentre le prospettive possono essere anche altre. Non esiste e non è mai esistita un’unica via o soluzione. E c’è ancora molto da studiare, analizzare e rivedere anche grazie alle nuove ricerche e ad un approccio più onesto e bilanciato.